Viviamo in un’epoca barbara, né selvaggia né saggia.

Per la prima volta nella storia italiana, oggi, una donna ricopre la carica di premier.

Premesso il profondo distacco dalle attuali strutture istituzionali corrispondenti al comune senso del termine Stato, sinonimo di supremo potere o di forza repressiva, esattore di tributi o di soldati, poco importa se sia esso di tipo liberale, democratico, socialistico ecc., è da ammettere che un po’ ci si chiedeva, a 75 anni di distanza dal diritto di voto alle donne, quando sarebbe successo che una donna assumesse un ruolo di vertice in Italia.

È indubbiamente un fatto storico, ma basta a venir meno al segnale discriminatorio e di discontinuità sociale assai presente nel quadro egemonico patriarcale, sul quale si basa la società? Si pensi alla più famosa leader di tutti i tempi, Margaret Tatcher, che tra la guerra ai minatori e alla classe operaia inglese, ai sindacati, la sua intransigenza con l’Irlanda e la posizione nei confronti di Nelson Mandela o delle subculture inglesi di quegli anni, senza contare la squallida guerra delle Falklands.

Seppur con la strada spianata dai predecessori, con la nuova premier, che si ispira a più o meno gli stessi ideali, non ci si prospetta qualcosa di tanto diverso per il futuro prossimo, tra sentimentalismi di passati regimi e nuove frontiere di emarginazione civile e sociale (come la proposta ‘mossa’ da un consigliere leghista, proprio di Ferrara, di censire chi cambia sesso e chi abortisce; una dichiarazione assurda, figlia di un sentore di legittimazione che queste persone avvertono già a pochi giorni dall’insediamento del nuovo governo).

La visuale del percorso per il futuro prossimo si presenta così offuscata, surreale, quasi distopica. Un futuro degno di un fumetto, come quello illustrato da Alan Moore e David Lloyd in V per Vendetta. Certamente c’è una storia universale di cui tener conto, secondo cui il ritorno di un regime totalitario, di una dittatura, possa essere, esso stesso, di questi tempi considerato distopico; e dall’altro romanzare è delirio, se si tratta di generi, fatti storici, razze, culture, posizioni sociali, stigmatizzando e censurando figure poco concilianti rispetto al concetto di potere, minimizzando sui riti di violenza, o vagliando sentenze sulla percezione che singole persone hanno di sé. Ma si immagini pure che “Il Signor Presidente” (così vuol esser chiamata) attui, nei prossimi mesi, politiche repressive e discriminatorie, che mirano alla limitazione delle libertà personali e ai fondamentali diritti di ogni cittadina o cittadino, in maniera anche violenta, quale sarebbe la forma di contrasto più adeguata da intraprendere?

Gruppi politici extra-parlamentari, militanti, sub-culture, gruppi sociali, collettivi vari, sembrano aver perso la capacità di generare quel tipo (sì, proprio quel tipo) di conflitto capace di attecchire su più livelli, necessario a creare quella rete (sì, proprio quella rete) di persone che possono ottenere veri risultati, in nome di priorità diverse e posizioni interne contrastanti.

Di sicuro, una nuova identità collettiva non può essere plasmata, finché tutte le nuove identità individuali non vengono riconosciute. In tempi di faide fra simili per questioni di lettere e termini, mentre tutto attorno diventa sempre più stringente e potente, è interessante riprendere la lettura proprio del fumetto V per Vendetta.

Un’Eroə mascheratə, quellə che Alan Moore narra e David Lloyd disegna. Natə da un’idea dello stesso Moore, che anni prima dell’uscita, aveva presentato su DC Thomson e per “Hulk Weekly” della Marvel, che consisteva in un anomalo terrorista col volto truccato di bianco, che operava col nome di The Doll e faceva guerra a uno stato totalitario intorno agli anni ’80. L’idea di un “terrorista transessuale” nel 1975 non entusiasma le due case produttrici e viene scartata. Moore continuerà a lavorare all’idea, dando vita a V.

La lotta di V per destabilizzare la dittatura fascista dai tratti orwelliani in cui è ambientata la storia, passa appunto tra la moltiplicazione e la proliferazione di “non identità”. Infatti, rileggendolo oggi con attenzione alle nuove teorie del gender, V pare sfuggire ad ogni definizione di identità prima che ad ogni possibilità di identificazione. La maschera e la parrucca, non cancellano la questione della dimensione sessuale, ma alterano ulteriormente questa lettura di identità. Tutto ciò fa da filo conduttore a un crescendo traumatico, drammatico, violento, che assume un’aria innocua, tra la sorridente maschera di Guy Fawkes (personaggio storico inglese che tentò di far saltare in aria il Parlamento) e la narrativa in stile stornello.

L’ambiguità della violenza delle scorribande di un terrorista mascherato, vengono riportate anche nel film di James McTeigue, prodotto e adattato per il grande schermo dalle sorelle Lana e Lilly Wachowski (nate Larry e Andy Wachoski, donne transgender autrici tra gli altri anche di Matrix, Cloud Atlas, Sense8).

Il film inizia con l’introduzione di un’altra figura che intraprenderà il cammino eroico di V: Evey Hammond, una ragazza orfana che per sopravvivere nasconde il suo odio nei confronti dell’attuale governo (i suoi genitori furono assassinati perché dissidenti, suo fratello morto in un attacco biologico). L’incontro tra V e Evey è un esempio lampante della riflessione sul paradosso di violenza e intolleranza insito nelle strutture totalitarie. La sera del 4 novembre V salva Evey da un tentativo di stupro da parte dei castigatori, la polizia segreta del governo, incaricata di castigare chi viola il coprifuoco. Quella notte V uccide i due castigatori e fa saltare in aria il palazzo dell’Old Bailey, simbolo della corruzione e dell’ingiustizia giudiziaria in una dittatura. Se questi due avvenimenti da un lato risultano ambigui perché segnano il protagonista con un omicidio e un attentato terroristico, seppure le due azioni siano ricche di significato, dall’altro avvalorano la tesi sulla non identità che si è tentato di costruire finora, con l’inserimento di un personaggio femminile che ricopre un ruolo fondamentale, e l’utilizzo delle musiche: V, durante l’esplosione, diffonde tramite altoparlanti nelle strade di tutta la città, l’Ouverture 1812 di Pëtr Il’ič Čajkovskij, compositore russo del periodo tardo-romantico, messo ai margini dalla società dell’epoca perché omosessuale.

Al fine di quanto narrato, indagato, analizzato e ipotizzato, si colloca la necessità di assumersi la responsabilità di prendere il proprio posto nella rappresentazione, di farsi visibili, esistenti anche per gli altri quando se ne ha l’occasione e di lottare questa società che si rifiuta di riconoscere lo spettro del genere nello stesso modo in cui si rifiuta di vedere lo spettro della razza, della sessualità o della povertà, consci del fatto che mentre il manganello può sostituire il dialogo, le parole non perderanno mai il loro potere; perché sono il mezzo per giungere al significato e all’affermazione della verità.

Dedicato alle studentesse e agli studenti manganellate fuori dalla Sapienza a Roma.

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